Ancora una volta, e ben più che per il passato, la dimensione europea risulta imprescindibile
Horizon Europe, che prende il via in questi giorni con i primi bandi di gara, è il più ambizioso Programma Quadro per la ricerca e l’innovazione che l’Unione Europea abbia mai lanciato. La sua dotazione finanziaria è più ricca che mai: i 95,5 miliardi di Euro per i prossimi 7 anni segnano un incremento in termini reali del 24% rispetto al programma precedente e rappresentano il 9% del budget totale dell’Unione. La sua latitudine tematica coincide largamente con l’ampio spettro del sapere scientifico e tecnologico e comprende obiettivi e strumenti per affrontare le grandi sfide di oggi e per generare le nuove conoscenze di cui avremo bisogno domani.
Il ruolo crescente dei grandi partenariati e dei mega- progetti — in particolar modo lo sviluppo ulteriore delle partnership industriali e delle comunità tematiche dell’Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia, e il lancio previsto delle cinque nuove “missioni” — sono chiari indizi della volontà di aumentare la rilevanza e l’incidenza della ricerca europea attraverso il rafforzamento della collaborazione con i paesi membri e il coinvolgimento più strutturato degli stakeholder.
Il nuovo European Innovation Council, con il suo forte accento sull’innovazione “dirompente” e sullo sviluppo delle start-up come motore di trasformazione tecno- economica e strumento per la conquista di nuovi mercati, annuncia l’aspirazione a colmare il gap tra investimenti di ricerca e ritorno economico, e lancia una sfida di adeguamento ai paesi, come il nostro, meno attrezzati sul piano dell’innovazione “di frontiera”. Più in generale gli obiettivi del programma e la sua rinnovata insistenza sui risultati delle attività di ricerca e le loro applicazioni, segnalano una forte attenzione per l’impatto economico e sociale e l’ambizione di incidere concretamente sulle prospettive di ripresa e di sviluppo del continente. E infatti il tratto distintivo forse più notevole di questo nuovo programma è dato dallo sforzo evidente di allinearlo ai grandi obiettivi strategici dell’Unione per i prossimi anni: in primo luogo la salute pubblica, la decarbonizzazione dell’economia, la transizione energetica, la rivoluzione digitale e la modernizzazione degli apparati produttivi.
Vale la pena di soffermarsi a riflettere un momento su questo aspetto e sulle sue implicazioni. Spesso ci si concentra “quanto” a scapito del “perché”: si tende a misurare l’importanza della ricerca europea principalmente in termini di risorse che affluiscono — o che potrebbero affluire — in Italia e si finisce col trascurare l’uso che si fa di quelle risorse in rapporto alle necessità e alle prospettive di sviluppo del sistema paese. Se utilizzati in maniera accorta i programmi europei possono rappresentare un’occasione unica per riqualificare e dinamizzare la R&I italiana e per contribuire a farne un motore dello sviluppo e della modernizzazione del paese, secondo un modello in grado di conciliare competitività e sostenibilità, fondato sull’economia della conoscenza, attento non solo al ritorno economico immediato ma anche a porre le premesse per le necessarie trasformazioni future. Per un uso “strategico” di Horizon Europe servono indirizzi e priorità largamente condivisi, adeguate capacità di co-finanziamento, iniziative e strumenti per indurre i protagonisti della R&I a collaborare e “fare sistema”.
La capacità italiana di sfruttare appieno le opportunità di collaborazione e di finanziamento del Programma Quadro europeo è stata storicamente frenata, prima ancora che dalla difficoltà di dispiegare un approccio strategico, dai limiti intrinseci di sotto-dimensionamento del nostro sistema ricerca/innovazione: risorse, infrastrutture, numero di ricercatori, squilibri territoriali. A questo si aggiungono gli effetti economici della pandemia, che in Italia sono stati tra i più devastanti di tutto il panorama europeo, e che innestandosi su una situazione di fragilità del nostro apparato economico e di relativa debolezza del nostro sistema di R&I, rischiano di aggravare squilibri e ritardi preesistenti, così come è successo a seguito della crisi economica del decennio trascorso.
Ma oggi si aprono nuovi orizzonti decisamente più promettenti. Contemporaneamente al varo di Horizon Europe e degli altri programmi con forte valenza di ricerca e innovazione — in particolare nel campo della salute, del digitale, dello spazio, della difesa, dell’ambiente, delle grandi infrastrutture — parte anche un nuovo ciclo settennale di programmazione dei fondi strutturali, che presentano anch’essi una significativa componente R&I, e si rinnova così la sfida a migliorare la finalizzazione mirata e la capacità di assorbimento di quelle risorse, per ridurre gli squilibri anche in campo scientifico e potenziare le capacità del sistema. E soprattutto c’è la prospettiva dell’accesso ai duecento miliardi del Recovery Fund destinati all’Italia: un’occasione straordinaria per rivalutare il ruolo della ricerca e dell’innovazione come volano di sviluppo sostenibile e duraturo.
La realizzazione di questo obiettivo passa necessariamente per un aumento consistente degli investimenti pubblici e privati: un raddoppio delle risorse investite attualmente non farebbe che avvicinarci al livello dei nostri principali concorrenti. Ma il cosiddetto Recovery Plan italiano — il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) — non potrà limitarsi a tappare qualche buco o iniettare un po’ di risorse aggiuntive; non potrà accontentarsi di invertire timidamente la tendenza rispetto agli anni dei tagli e dei programmi non rifinanziati. Dovrà anche contribuire a superare i limiti del sistema incidendo sulle sue criticità; introdurre correttivi volti a modernizzare il sistema; contribuire ad allargare la base delle conoscenze scientifiche e del know-how tecnico; valorizzare le eccellenze esistenti; rafforzare competenze e infrastrutture nei campi del sapere e della tecnologia su cui si gioca la nostra capacità competitiva a medio- lungo termine. Ma non possiamo neanche aspettarci dal PNRR più di quanto esso possa oggettivamente offrire. Dopotutto si tratta di un piano emergenziale di interventi con un orizzonte temporale limitato. L’importante è che quegli interventi si inseriscano in maniera coerente in un disegno più ampio, che conduca a una vera e propria riforma del sistema sul piano delle strategie, dei programmi, dell’assetto giuridico e amministrativo, dei meccanismi di carriera, della collaborazione pubblico-privato, della prevedibilità di programmazione, della capacità d’impatto. Se conterrà al tempo stesso progetti ambiziosi e almeno l’anticipazione di un futuro riassetto, il PNRR potrà rappresentare anche un utile complemento rispetto al Programma Nazionale della Ricerca (PNR) 2021-27, introducendo indirizzi e scelte di prioritarizzazione che il Programma Nazionale non definisce. Con il PNR come quadro di riferimento allineato agli orientamenti dell’UE, il PNRR come strumento di sviluppo e riqualificazione e Horizon Europe come stimolo per la capacità competitiva del sistema, si apre una stagione ricca di promesse per la ricerca italiana, una stagione di opportunità da cogliere per cominciare a colmare il divario che ci separa dagli altri grandi paesi europei. Ancora una volta, e ben più che per il passato, la dimensione europea risulta imprescindibile: non solo in virtù delle ingenti risorse disponibili, ma anche per via degli indirizzi strategici di riferimento, e persino di quegli stessi paventati “vincoli” che, se gestiti in maniera intelligente, possono invece tradursi in utili stimoli per una pianificazione coerente ed efficace.
Questo articolo è stato pubblicato in APREmagazine n 15 di aprile 2021
La Giornata nazionale di lancio del programma quadro Horizon Europe è in programma il 25 maggio 2021.