Il testo legislativo del regolamento sul Programma Quadro è stato approvato a marzo dal Consiglio dell’Ue e a fine aprile dal Parlamento europeo in seduta plenaria, mentre la decisione sul programma specifico (l’altra parte di legislazione di Horizon, che fissa i contenuti delle attività di ricerca e innovazione nell’ambito delle diverse tematiche) ha ottenuto il via libera degli Stati membri a maggio. A maggio il Consiglio ha approvato la revisione del regolamento sull’Istituto europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT) e la relativa Strategic Innovation Agenda 2021-27: anche in questo caso, si trattava del passaggio finale. La Commissione ha adottato a marzo il Piano strategico 2021-24 e adotterà a metà giugno i Programmi di lavoro biennali per la gran parte dei temi – hanno fatto eccezione i programmi annuali dello European Research Council, già adottato a febbraio, e dello European Innovation Council, approvato a marzo.
I primi mesi del 2021 hanno visto così concretizzarsi il lavoro intenso e faticoso di quattro anni. Ci occupiamo di ricerca e innovazione e ci viene naturale guardare avanti. Attendiamo con ansia i primi progetti di Horizon Europe, che partiranno a fine anno, i risultati che produrranno e le ricadute che avranno sulla nostra società nei decenni a venire. Guardare indietro è un esercizio interessante: ripercorrere come è stato fatto Horizon Europe ci dice molto su come funziona l’Unione europea. E ci prepara, al tempo stesso, al futuro: il nono programma quadro inizia adesso, ma tra tre-quattro anni inizieremo a parlare del suo successore.
Cosa dice il Trattato
Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) prevede (art. 182) l’adozione di un Programma quadro pluriennale, che comprende (e finanzia) l’insieme delle attività dell’Unione in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione. Il Programma quadro è istituto da un atto legislativo ed adottato secondo la procedura ordinaria: la Commissione è incaricata della proposta iniziale, il Consiglio dell’Ue (gli Stati membri) e il Parlamento europeo sono co-legislatori: intervengono quindi attivamente e in condizioni di parità nel processo legislativo, negoziando ed adottando il testo finale.
Il Trattato prevede poi l’attuazione del Programma quadro mediante programmi specifici, che sono adottati dal Consiglio secondo la procedura legislativa speciale di consultazione: in questo caso, sono gli Stati membri a tenere il pallino del gioco, mentre gli eurodeputati possono solo limitarsi a fornire un parere preventivo, non vincolante. Sempre il Tfue prevede (art. 183) che vengano fissate dall’Ue, ed adottate secondo procedura legislativa ordinaria, le norme per la partecipazione delle imprese, dei centri di ricerca e delle università al programma e le regole per la diffusione dei risultati.
Prima della proposta della Commissione
Fin qui le carte, la prassi è un’altra storia. L’inizio del dibattito pubblico sul Nono Programma Quadro – FP9, come tutti lo chiamarono fino al battesimo ufficiale della Commissione – risale a quasi quattro anni fa: luglio 2017. Venne pubblicato allora e presentato a Bruxelles il rapporto del Gruppo di esperti presieduto da Pascal Lamy (LAB-FAB-APP), incaricato di fornire all’esecutivo Ue raccomandazioni strategiche per massimizzare l’impatto del futuro programma di R&I. Gli elementi di novità da introdurre erano comunque già allora chiari alla Commissione, che era nel frattempo impegnata nel processo di valutazione di medio-termine di Horizon 2020. Due più di altri: lo European Innovation Council, uno sportello unico di finanziamento per tutti gli innovatori destinato a sostenere la nuova generazione di innovazioni dirompenti e pioneristiche (fortemente voluto dal Commissario Carlos Moedas e oggetto dell’iniziativa pilota 2018-2020) e l’approccio mission-oriented, teorizzato tra gli altri dall’economista Mariana Mazzucato nel report del febbraio 2018 – in cui venivano proposti i primi esempi di missioni possibili – e in altre pubblicazioni successive.
La fase di preparazione venne animata da contributi istituzionali (sia il Parlamento che il Consiglio si espressero sulla valutazione di Horizon 2020 con raccomandazioni sul futuro FP9, come pure la gran parte dei governi nazionali), da varie pubblicazioni di Gruppi di esperti (tra le altre, gli studi di foresight BOHEMIA) e soprattutto dal dibattito degli stakeholder e delle parti interessate, sviluppatosi in una serie infinita di eventi e workshop e di documenti di posizionamento: a febbraio 2018 APRE pubblicò il suo “Towards FP9”.
Il percorso legislativo
La proposta della Commissione su Horizon Europe arrivò a giugno 2018 – Moedas annunciò sul suo blog il nome del nuovo programma qualche settimana prima – ed era articolata in due atti: una proposta di regolamento sul programma quadro e sulle regole di partecipazione e diffusione, e una proposta di decisione sul programma specifico. A maggio, l’esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker aveva presentato invece il suo progetto di Quadro finanziario pluriennale 2021-27. La Commissione propose di assegnare al nuovo Programma quadro una dotazione di 94,1 miliardi di euro (a prezzi correnti) e inserì nel disegno iniziale praticamente tutti gli elementi costituitivi che ritroviamo nel testo definitivo: i tre pilastri più uno, i cluster intersettoriali, le missioni, l’EIC, il nuovo approccio ai partenariati, le norme rafforzate per la cooperazione internazionale e le sinergie. L’impianto complessivo progettato dall’esecutivo europeo è rimasto in larga parte invariato nei tre anni di negoziato e le modifiche limitate intervenute (val la pena citare il peso specifico aumentato della componente di sovvenzioni nell’EIC, come pure il vincolo di destinare il 70% del budget dello strumento alle Pmi, assente nella proposta iniziale) sono state largamente apprezzate dalla comunità italiana della R&I, che si è esercitata in azioni di advocacy mirate lungo l’intero periodo del negoziato. Dall’appello per mantenere strumenti di supporto alle Pmi, promosso da APRE a giugno 2018 insieme ad associazioni del mondo imprenditoriale, all’insieme delle attività del GIURI, il network bruxellese degli stakeholder italiani R&I: proposte di emendamento e ripetuti appelli per preservare una dotazione finanziaria ambiziosa del Programma.
Il percorso legislativo, dicevamo, iniziò subito: speditamente in Parlamento europeo (riunione dei relatori della Commissione ITRE), desideroso di portare a casa un risultato negoziale prima delle elezioni del maggio 2019, meno velocemente in Consiglio (Gruppo consigliare ricerca). I co-legislatori arrivarono a definire le rispettive posizioni a fine 2018 – gli Stati membri, tuttavia, espressero solamente un pronunciamento parziale – e negoziarono intensamente nei primi mesi del 2019 per arrivare alla definizione di un testo condiviso prima della scadenza elettorale. Arrivarono alla meta (o quasi) dopo ben sei triloghi informali, i momenti di confronto negoziale tra Commissione, Parlamento e Consiglio. Ad aprile fu raggiunto ed approvato un accordo politico provvisorio e definito un testo consolidato del programma, che includeva la gran parte degli elementi e lasciava indefiniti i tre aspetti su cui gli Stati membri non erano riusciti a esprimersi (per l’assenza di un accordo a monte sul Qfp): il bilancio complessivo del programma e la sua ripartizione interna; le norme sull’associazione dei paesi terzi; le sinergie con gli altri programmi settoriali.
E poi? Le elezioni, il nuovo Parlamento e la nuova Commissione, una ripresa lenta dei negoziati in Consiglio, complice lo stallo sul bilancio complessivo (solo a fine 2019 arrivò una posizione parziale sulle sinergie). E ancora: lo scoppio della crisi pandemica, la forte proposta di aumento promossa da von der Leyen per il Programma quadro grazie ai fondi di Next Generation EU (105,8 miliardi), l’accordo di luglio 2020 tra i Leader Ue e il pesante taglio a Horizon (90,9 miliardi). Il resto è storia recente: la posizione finale del Consiglio (settembre 2020), la ripresa dei triloghi, gli accordi finali sul Qfp e su Horizon Europe (novembre / dicembre 2020), con i 4,5 miliardi di finanziamenti integrativi strappati dagli eurodeputati che hanno portato la dotazione finanziaria del Programma a 95,5 miliardi di euro. E, in chiusura, i voti di approvazione in Consiglio e Parlamento delle scorse settimane.
La pianificazione strategica e la preparazione dei Programmi di lavoro
Il negoziato legislativo è (stato) solo un pezzo della storia. L’elaborazione e l’adozione dei Programmi di lavoro, i documenti che contengono le call for proposals e i relativi topic e che per il diritto dell’Unione sono atti di esecuzione (implementing act), non avviene infatti a livello legislativo, ma in sede di comitologia (il complesso di procedure con cui i paesi dell’Ue possono esprimere la loro opinione sugli atti di esecuzione). I co-legislatori – normalmente dopo l’adozione dell’atto legislativo – istituiscono un comitato che comprende un rappresentante di ciascuno Stato membro ed è presieduto da un funzionario della Commissione. Nel caso di Horizon Europe – accadeva lo stesso in Horizon 2020 – è il Comitato di Programma, articolato nelle diverse configurazione tematiche, ognuna delle quali ha vita propria e funziona sostanzialmente come comitato a sé (ne esiste grosso modo una per ogni tema del Programma quadro). Nelle singole configurazioni, gli Stati membri, su proposta della Commissione, discutono, negoziano e infine esprimono la propria opinione sul Programma di lavoro tematico, prima che l’esecutivo europeo proceda all’adozione del documento.
Fin qui le regole generali. La novità importante di Horizon Europe è stata l’introduzione di un livello intermedio tra i testi legislativi settennali e i Programmi di lavoro biennali: il Piano strategico. Un documento di durata quadriennale – anch’esso elaborato e adottato nel Comitato di Programma come atto d’esecuzione – inteso a definire gli orientamenti (strategici) per gli investimenti di ricerca e innovazione dell’Unione e ad assicurare così l’allineamento tra le priorità politiche generali dell’Ue e i Programmi di lavoro. Piano strategico che – almeno nelle intenzioni iniziali – avrebbe dovuto includere la lista delle missioni specifiche (il testo legislativo definisce solo le aree) e dei partenariati co-finanziati e co-programmati.
La pianificazione strategica – insieme alla preparazione delle missioni specifiche e al processo di revisione dei partenariati – partì, con grandi ambizioni, nella primavera del 2019, immediatamente dopo la conclusione dell’accordo istituzionale sul testo legislativo. Approccio (tentato) di cocreazione e co-design e coinvolgimento della società civile, la configurazione orizzontale del Comitato di programma Shadow (informalmente costituito in attesa dell’adozione di Horizon) a tirale le fila: i lavori – rallentati prima dall’attesa per l’insediamento della Commissione von der Leyen e la definizione dei nuovi orientamenti politici, poi dalla crisi pandemica – si sono concretizzati prima in un documento di orientamento (dicembre 2019) e poi nel Piano strategico finale (marzo 2021). La preparazione delle missioni si è sostanzialmente esaurita, almeno finora, nelle cinque proposte che i Mission Board – i gruppi di esperti incaricati dalla Commissione per supportarne la definizione – hanno presentato a settembre 2020. Più lineare è stato il processo di revisione dei partenariati, svoltosi per lo più sotto la regia del Comitato di Programma Shadow.
La preparazione dei Programmi di lavoro, partita nella primavera del 2020, si è svolta integralmente in modalità virtuale, per i motivi che sappiamo. I lavori hanno visto un’accelerazione forte a cavallo dell’estate, per poi concretizzarsi a fine 2020 nelle prime bozze integrali dei documenti. Il resto è storia di queste settimane: l’anticipazione con l’adozione dei programmi annuali dello European Research Council (febbraio) e dello European Innovation Council (marzo) e poi il grosso dei documenti in arrivo a metà giugno.
Cosa resta da fare
Due elementi centrali di Horizon Europe restano in gran parte ancora da modellare: le missioni, ora in fase preparatoria in attesa del lancio effettivo in autunno, e i partenariati istituzionalizzati, per i quali la Commissione ha presentato le proprie proposte legislative a febbraio e che attendono ora la discussione e l’approvazione in Parlamento e Consiglio, secondo la procedura di consultazione. Da scrivere anche il futuro della cooperazione con i Paesi terzi: nel momento in scriviamo, solo il Regno Unito ha definito la propria associazione a Horizon Europe. Molti paesi già associati in Horizon 2020, a partire da Svizzera e Israele, stanno negoziando l’accordo in queste settimane: difficilmente arriveranno novità prima dell’estate. Piccoli tasselli che devono ancora andare al proprio posto.
Il resto è fatto: Horizon Europe può finalmente iniziare.
Questo articolo è stato pubblicato in APREmagazine n. 15 di aprile 2021