Intervista al Professor Tommaso Calarco, presidente del Quantum Community Network
Tommaso Calarco è l’autore del Quantum Manifesto, che ha favorito l’avvio, nel 2017, della Quantum Flagship della Commissione europea: un programma decennale che ha permesso di finanziare la ricerca europea per lo sviluppo delle tecnologie quantistiche. Attualmente il Professor Calarco è il presidente del Quantum Community Network, uno dei tre organi di autogoverno della Quantum Flagship. Ha conseguito un post-dottorato nel gruppo di Peter Zoller presso l’Università di Innsbruck e nel 2004 è stato nominato Senior Researcher del Centro BEC di Trento e nel 2007 è diventato Professore di Fisica dell’Università di Ulm, dove successivamente è stato nominato direttore dell’Istituto di Sistemi Quantistici Complessi e del Centro per la Scienza e la Tecnologia Quantistica Integrata. È stato poi professore all’Università di Colonia e al tempo stesso direttore dell’Istituto di Controllo Quantistico del Peter Grünberg Institute, presso il Centro di Ricerche di Jülich (il più grande laboratorio nazionale della Germania). Rientrato in Italia, attualmente insegna al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna.
Professor Calarco, dove si colloca al momento l’Europa nella competizione per lo sviluppo delle future tecnologie quantistiche rispetto al resto del mondo?
L’Europa è il luogo in cui è nata l’idea stessa di queste tecnologie. Non dimentichiamoci che gli ultimi Premi Nobel sono stati assegnati in maggioranza a studiosi europei. Ma a parte questo facile patriottismo, se così possiamo dire, rimane il fatto che l’Europa è ancora oggi la fucina dei talenti e che la maggior parte delle idee attualmente utilizzate in tutto il mondo per far crescere le tecnologie quantistiche sono state partorite e sono state sviluppate in Europa. Dal concetto stesso di computer quantistico, inventato da David Deutsch quasi 40 anni fa all’Universita di Oxford, fino all’implementazione del computer quantistico inventata da Peter Zoller, dell’Università di Innsbruck, nel 1995, con una serie di sviluppi molto importanti. Certamente ci sono stati dei contributi fondamentali arrivati anche dagli Stati Uniti, con l’invenzione dei primi algoritmi che hanno dimostrato i vantaggi nell’utilizzo di macchine quantistiche, ma l’Europa è stata al centro dello sviluppo delle idee e ancora oggi gli avanzamenti e i progressi scientifici e tecnologici che avvengono nel nostro continente sono all’avanguardia. Per fare un esempio, il quantum advantage, la possibilità di dimostrare che un calcolatore quantistico supera un calcolatore classico nel realizzare non solo un problema di natura puramente matematica o accademica, ma anche di rilevanza scientifica, è stato acquisito in Europa. I nostri studenti, le nostre risorse umane, sono ricercate e apprezzate in tutto il mondo. Siamo un po’ indietro per quanto riguarda la dimensione d’impresa, perché non disponiamo dei grossi attori industriali come Google, IBM, Intel o Microsoft, come avviene negli Stati Uniti. Abbiamo però un sistema di start up che si sta sviluppando in maniera molo forte. Dal punto di vista dei finanziamenti, invece, sono circolate negli anni leggende metropolitane sul fatto che la Cina investisse molto di più dell’Europa, ma non è realmente così. A livello di tecnologie quantistiche i maggiori investimenti, se consideriamo l’insieme di tutti gli stati membri, vengono fatti da noi. Tutto ciò ci deve fornire un grandissimo impulso, oltre a dimostrare la lungimiranza delle nostre organizzazioni di finanziamento.
Immaginando questa sfida come una corsa automobilistica, in un momento ancora embrionale per tutti, come sistema europeo siamo in ritardo o possiamo considerarci ancora allineati ai principali concorrenti in questa prima fase?
Non siamo più ai blocchi di partenza: siamo partiti e siamo pienamente in corsa. Non c’è un gap riconoscibile in generale, ci può essere su alcuni aspetti specifici, ad esempio sul sistema dei superconduttori in cui abbiamo un ritardo di circa due anni rispetto ai grandi attori industriali statunitensi. Sugli ioni, ad esempio, siamo alla pari, mentre per quanto riguarda le piattaforme atomiche, siamo addirittura davanti agli altri.
Nel contesto europeo, come si colloca l’Italia rispetto a queste questioni? Competiamo alla pari oppure abbiamo criticità maggiori rispetto ad altri paesi?
In questo senso lo spartiacque è rappresentato da PNRR. Prima della sua esistenza, avevamo effettivamente un elemento di criticità dato dalla continua e costante riduzione dei fondi per la ricerca in Italia, indipendentemente dal governo in carica. Questo ci ha penalizzato tantissimo. Nessuno riesce a spiegarsi come riescano gli italiani a essere così produttivi e in prima linea nonostante i fondi nazionali siano decisamente più bassi rispetto ai principali altri attori europei. Adesso la situazione è cambiata: gli ultimi due governi hanno manifestato non solo l’intenzione, ma hanno anche agito sfruttando l’opportunità di utilizzare il PNRR per un rilancio importante degli investimenti pubblici in ambito di ricerca scientifica. Abbiamo in questo momento un centro nazionale di supercalcolo di computazione quantistica, abbiamo il partenariato nazionale, sempre finanziato dal PNRR. Esistono quindi gli elementi per essere di nuovo competitivi al punto che all’interno della discussione che sta avvenendo a livello europeo con gli altri Stati membri, abbiamo una importante rappresentanza dell’Italia al tavolo. In questo il PNRR sta svolgendo un ruolo importante, sempre che si riescano a spendere i soldi, visto che si sente spesso parlare di criticità nella possibilità di utilizzare questi fondi.
La frammentazione che abbiamo in Europa può essere vista come un problema ma anche come una risorsa. Ritiene che l’attività tra i vari paesi membri sia sufficientemente allineata?
Assolutamente sì. Questo è un campo in cui la coesione della comunità scientifica ha effetti molto importanti. Quando gli Stati membri sviluppano dei programmi nazionali quantistici, gli esperti che vengono consultati per definire gli obiettivi sono gli stessi che hanno contribuito alla definizione degli stessi obiettivi e delle stesse agende anche a livello europeo. Riscontriamo quindi un fortissimo allineamento che non proviene da diktat politici ma è de facto e nasce dal basso, con gli esperti che in questo campo vengono ascoltati. In questo senso, possiamo parlare di una riduzione molto grossa della frammentazione che si può invece riscontrare in altri campi. C’è grande sinergia, al punto che qualche anno fa in una riunione di direttori generali e vice ministri degli stati membri è stato deciso di lanciare la infrastruttura europea di computazione quantistica che non ha avuto alcun problema di frammentazione proprio perché il concetto e l’implementazione nascono dalle stesse idee elaborate dai colleghi a livello transnazionale, comunicandole ai rispettivi governi ovunque si trovino.
La comunità scientifica, però, è solo una parte che compone questo quadro. Per vincere una partita come quella che stiamo giocando, a livello globale, è necessario portare a coordinamento non solo il mondo scientifico, ma anche il sistema industriale e i governi. Partendo da questi tre elementi, quali sono le sue idee rispetto a una governance europea sulla dimensione del Quantum?
Da una strategic source agenda siamo passati ad una strategic research and industry agenda. Viene elaborata con il Consorzio industriale europeo quantistico che ho fondato un paio di anni fa in Germania insieme ad alcuni colleghi di grandi industrie tedesche e non solo e che adesso è giunto a superare i 170 membri, arrivando a una massa critica comparabile a quella della controparte statunitense. Questo aspetto della connessione con la dimensione industriale è assolutamente centrale e questa integrazione avviene con dei link tra i vari organi di governance della parte scientifica e industriale che costantemente si riuniscono. Gli scenari e le decisioni che ci aspettano nel prossimo futuro vengono discusse e determinate insieme. Per quanto riguarda la connessione con la parte governativa, in questo caso la dimensione più avanzata e più funzionante è quella della Commissione europea perché a livello di Stati membri ci sono diversi livelli di avanzamento e non c’è un’uniformità. È proprio questo il punto dove va fatta più strada, per riuscire a mettere in collegamento non solo la comunità scientifica ma anche l’industria e il governo in maniera più seria. Tramite il Consorzio industriale europeo quantistico stiamo facendo passi in avanti in questa direzione.
I partenariati europei pubblico-privati, molto utilizzati dalla Commissione come meccanismo di allineamento tra parte pubblica e privata, possono essere un mezzo per esercitare, da parte della stessa Commissione, un’azione di coordinamento e collante?
È certamente una strada da cui si può partire e che va intrapresa ulteriormente. La mia speranza è che, già nella prossima legislatura europea, lo strumento dei partenariati, già promettente, si riesca ad affinare. Per realizzare gli obiettivi degli articoli 185 e 187 del Trattato dell’Unione possiamo, partendo dall’esperienza delle attuali partnership, realizzare qualcosa che vada oltre gli attuali modelli di partenariato pubblico-privato legando in forme ancora più evolute scienza, industria e governi. In questo modo, senza troppi lacci e lacciuoli che si vedono attualmente, riusciremo a rimanere e a diventare ancora più competitivi a livello internazionale.
Immaginando di dare una forma questi partenariati, secondo lei dovrebbero avere un ruolo più intergovernativo o esercitare maggiormente un ruolo di coordinamento con l’industria?
Dal mio punto di vista serve un’integrazione tra tutte queste componenti che ho citato. Non deve prevalere una dimensione sulle altre, ma tutte devono integrarsi tra loro perché altrimenti non possiamo raggiungere quel tipo di equilibrio, di armonia, necessario nel nostro campo per lo sviluppo di queste tecnologie. Non c’è nessuna di queste dimensioni che dovrebbe passare in secondo piano. Dal mio punto di vista, sia i governi sia le industrie sia le comunità scientifiche vanno considerate tutte quante come degli stakeholders imprescindibili. L’integrazione tra loro è la misura fondamentale del successo.
Restando sul tema del Quantum, dall’esperienza che ha vissuto in Germania, c’è qualcosa che potremmo imparare nell’approccio come italiani? Quali sono le esperienze vincenti che ha conosciuto e reputa sarebbe necessario adottare qui da noi?
Principalmente la disponibilità ad investire e a credere in questo campo della tecnologia in maniera strutturale e convinta. Dal punto di vista dell’integrazione tra i diversi attori non credo che l’Italia abbia molto da imparare dalla Germania, che soffre più di noi la frammentazione tra i suoi lander portando a una competizione tra di loro. Tutto ciò porta dei limiti più che dei vantaggi. L’unica lezione da imparare dalla Germania è la capacità di riconoscere le opportunità e la necessità di investire nel futuro in termini di investimento nella ricerca, fermo restando le limitate disponibilità di budget che affliggono il nostro paese. Fatemi dire che il grande capolavoro culturale dei tedeschi è quello di aver convinto tutti gli altri che loro sono organizzati meglio di chiunque altro.
Concludiamo con una battuta sul futuro. Qual è l’orizzonte temporale che abbiamo davanti prima di vedere veramente la nostra vita quotidiana permeata dalle tecnologie quantistiche?
Io nello zainetto ho un telefonino Samsung Galaxy Quantum, basato su una tecnologia sviluppata in Europa, con un generatore di numeri casuali creato da una start up svizzera grazie a fondi della Commissione europea, commercializzato in Corea del Sud ma non qui. Un esempio chiaro che dispositivi di elettronica di consumo che contengono delle tecnologie quantistiche di seconda generazione sono già disponibili, anche se non a livello di medio consumatore. Possiamo aspettarci che nel giro dei prossimi cinque anni cominceremo ad avere un’integrazione di tecnologie quantistiche nelle reti per le comunicazioni che ci riguardano. Parlando invece di computazione quantistica, è un qualcosa che non useremo in casa ma potremo utilizzare i prodotti di questi calcoli in termini, ad esempio, di nuovi materiali che possono essere sviluppati e in prospettiva più lunga anche di nuovi composti chimici. Questo però su una scala di tempi più lunga, circa 10/15 anni. Per quanto riguarda la sensoristica quantistica, già oggi nel campo della metrologia, la misura super accurata del tempo, esistono gli orologi atomici basati su tecnologie quantistiche. Con l’aggiornamento di queste tecnologie, tra 5/10 anni, si avrà maggiore precisione nella navigazione satellitare basata sulla misura accurata del tempo. Se gli orologi quantistici odierni ci permettono di avere una accuratezza della misura del tempo per impieghi nella geolocalizzazione che ci permettono una conoscenza della nostra posizione tramite navigatore della macchina di un paio di metri, in futuro, grazie alla tecnologia quantistica, possiamo immaginare di arrivare ad una precisione di alcuni centimetri o perfino millimetri, con importanti implicazioni, ad esempio, sulla guida autonoma.
Prof. Calarco, la ringrazio molto per questa piacevole, se pur breve, passeggiata nel complesso mondo della quantistica, ma soprattutto nell’averci aiutato a valutare come noi europei ci stiamo posizionando in questa sfida tecnologica che non tutti noi abbiamo ancora ben compreso, ma della quale abbiamo più o meno tutti compreso il potenziale dirompente.
Questa intervista è tratta da APREmagazine n. 22 di luglio/2023