Se chiedessimo “che cos’è la bioeconomia?” alla società civile, quante persone in Europa saprebbero rispondere correttamente alla domanda? Quante, invece, riuscirebbero a riconoscere correttamente un prodotto bio-based? Quali sono le fasce d’età più sensibili su questi temi, sia in termini di approfondimento della conoscenza che di cambiamento degli stili di vita?
Queste sono solo alcune delle domande che ci siamo posti un anno fa, mentre lavoravamo al progetto BioBridges, finanziato dalla BBI JU e conclusosi lo scorso dicembre. Nonostante oggi questi temi siano continuamente dibattuti, durante i vari workshop ed eventi con il grande pubblico organizzati nel 2019, avevamo la sensazione di non essere davvero riusciti a cogliere l’opinione di chi non è coinvolto – per lavoro o per interesse – nel mondo della bioeconomia. Perché allora non lanciare un sondaggio a livello europeo? Così, grazie alle risposte di oltre 1.000 persone, la stragrande maggioranza delle quali non coinvolte nel settore (oltre l’81%), siamo riusciti ad ottenere interessanti risultati che ci hanno permesso di fare maggiore chiarezza e, di conseguenza, elaborare alcune raccomandazioni per provare a migliorare le cose.
Bioeconomia e prodotti bio-based, questi sconosciuti!
Innanzitutto, è emerso chiaramente un importante dato: la metà di coloro che hanno risposto al sondaggio, e che non sono coinvolti nel settore, ha scarsa (27,2%) o nessuna (22,7%) conoscenza della bioeconomia. Il secondo dato importante riguarda le diverse fasce di popolazione che hanno partecipato al sondaggio: i più giovani e i più anziani sono le categorie meno informate. Due adolescenti su tre non aveva mai sentito questo termine prima dell’intervista, mentre il 52% dei partecipanti nella classe di età 18-24 aveva pochissime informazioni; dichiarazioni in linea con quelle rilasciate dagli over 65.
Purtroppo non possiamo dire che sull’identificazione dei prodotti bio-based vada meglio. Anzi, in questo caso a farla da padrone è la confusione. Un intervistato su tre, infatti, ha confuso la definizione di bio-based con quella di prodotto degradabile, mentre il 20,5% è convinto che si tratti di “biologico”. Tale confusione – confermata dal fatto che circa la metà dei rispondenti non avesse mai sentito il termine o avesse poche informazioni a riguardo– condiziona anche la possibilità di riconoscerli durante gli acquisti. Ancora una volta sono i più giovani a dichiarare di avere meno conoscenza sul tema.
Shut up and take my money!
Citando un meme famoso nel web, sono però proprio i ragazzi della Gen Z, ovvero coloro che hanno meno di 25 anni, ad essere più aperti e propensi all’acquisto di prodotti bio-based. La loro sensibilità verso il tema li porta a dichiararsi disponibili a pagare anche il 20% in più rispetto alle alternative creati da fonti fossili, mentre al crescere dell’età aumenta la propensione a pagare la stessa cifra o, al massimo, “solo” il 5% in più. Forse non è un caso che proprio questa classe di età è la più sensibile ai temi della tutela dell’ambiente e alla lotta del cambiamento climatico, dimostrato anche dall’adesione al movimento dei Fridays For Future. Infatti, i partecipanti al questionario vedono una forte correlazione tra i prodotti bio-based, la sostenibilità ambientale, la riduzione dell’inquinamento e dell’ammontare dei rifiuti; aspetti che, in realtà, non è detto siano consequenziali e riscontrabili ma che, invece, vanno attentamente verificati attraverso un’analisi da condursi alla luce dell’’intero ciclo di vita dei prodotti.
E gli impatti economici?
I risultati delle risposte dei partecipanti hanno mostrato che se da un lati essi riconoscono facilmente gli impatti ambientali e, anzi, dichiarano di voler scegliere i prodotti bio-based perché si sentono partecipi nella riduzione dell’inquinamento (20,5%) o rappresentano una scelta sostenibile (19,5%), a non essere percepiti sono gli impatti economici e sociali. Facciamo un esempio: secondo le stime della Commissione europea, il settore della bioeconomia sarebbe in grado di creare 1 milione di nuovi posti di lavoro entro il 2030, in particolare nelle aree rurali e costiere; nel sondaggio, però, l’impatto positivo che può avere il settore è stato riconosciuto solo nel 4% dei casi, mentre nel 7% delle risposte la bioeconomia è vista come un modo per aumentare le entrate dei produttori primari. Su questo aspetto, dunque, vi è molto da lavorare per poter spiegare quali sono i benefici socio-economici che la bioeconomia può portare ai cittadini europei.
Prodotti bio-based: quali scelte di acquisto?
Vediamo adesso qualche dato sui prodotto bio-based. In generale, i partecipanti al sondaggio si sono detti disponibili a scegliere le alternative bio-based per l’acquisto di packaging (15,2%), prodotti monouso (12,3%), nel settore alimentare (11,4%, ma su questo punto va tenuta presente anche la confusione con i prodotti biologici) e in quello dell’abbigliamento (10,4%). Guardando bene i risultati, si può notare facilmente come queste preferenze siano legate sia a prodotti sotto la lente della richiesta di maggiore sostenibilità, si pensi ad esempio, alla lotta per la riduzione della plastica nel packaging o alla crescente attenzione sugli impatti ambientali prodotti dall’industria della moda; sia a prodotti già conosciuti dai consumatori o già largamente acquistati, in questo caso basti pensare alle alternative sostenibili alle materie plastiche nei prodotti monouso.
Fermo restando la disponibilità ad acquistare i prodotti bio-based, gli intervistati vorrebbero però ricevere più informazioni su questi, a partire dalle etichette che, in particolare, dovrebbero mostrare la percentuale del contenuto bio-based del prodotto (25,6% delle risposte) o informazioni sul loro fine vita (per il 17,2% come riciclarli correttamente e per il 16,2% dove buttarli). Aspetti molto importanti se si considera che, per l’80% degli intervistati, le etichette possono influenzare la loro decisione nello scegliere un prodotto bio-based.
E ora? Cosa fare con questi numeri?
Al di là dei numeri e dei grafici – disponibili anche in formato excel per coloro che vorranno approfondire gli studi con nuove ricerche – questo esercizio è stato utile per elaborare alcune raccomandazioni e idee per future attività che siano volte a migliorare la conoscenza che la società civile ha della bioeconomia e dei prodotti bio-based, raccolte in un Action Plan.
Si parte ovviamente da campagne di comunicazione – rivolte nello specifico ai più giovani e ai più anziani (che abbiamo visto essere i due segmenti di popolazione meno informati) condotte principalmente da scienziati e aziende, così come è stato espressamente richiesto dagli intervistati, in maniera tale da fare ordine nella terminologia e rendere comprensibile il tema trattato. Tra le diverse attività proposte, poi, vi sono ad esempio richieste di introduzione di incentivi fiscali per l’acquisto dei prodotti bio-based, il miglioramento delle etichette e delle informazioni ivi riportate, oltre che idee per condurre nuovi studi e chiarire aspetti a cui il questionario non ha saputo dare una risposta definitiva.
Insomma… il lavoro di certo non manca!
Questo articolo è stato pubblicato in APREmagazine n. 15 di aprile 2021